Colesterolo “cattivo”: ridurlo per proteggersi dal rischio di problemi al cuore

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Colesterolo “cattivo”: ridurlo per proteggersi dal rischio di problemi al cuore

Le nuove linee-guida della Società Europea di Cardiologia segnalano come occorra abbassare il colesterolo cattivo il più possibile. Il trattamento con gli inibitori PCSK9 come evolocumab aiuta a ridurre il rischio di eventi cerebro-cardiovascolari. Segui gli articoli con studi scientifici sull'argomento di Spazio SoloSalute®, il tuo centro benessere in centro a Milano per consulenze Naturopatia, Nutrizione, massaggi, bellezza naturale, prodotti naturali.

La Società Europea di Cardiologia segnala come occorra ridurre il più possibile il colesterolo cattivo. Il trattamento con gli inibitori PCSK9 come evolocumab aiuta a ridurre il rischio di eventi cerebro-cardiovascolari in chi ha avuto infarto, ictus o arteriopatia periferica

  1. Colesterolo “cattivo”: le linee guida dell’ ESC e dell’EAS

Se la scienza ha ampiamente dimostrato che più il colesterolo LDL scende minore è il rischio di eventi come infarti o ictus, ora le linee guida 2019 presentate dalla European Society of Cardiology (ESC) e dalla European Atherosclerosis Society (EAS), confermano questa ipotesi. Vengono infatti stabiliti nuovi livelli obiettivo di Colesterolo-LDL da rispettare per i pazienti definiti a rischio cardiovascolare: “molto alto” (meno di 55 milligrammi per decilitro) e “alto” (meno di 70).

Alberto Zambon, Associato di Medicina Interna, Università di Padova, spiega che questo studio conferma che C-LDL è il fattore causale della malattia aterosclerotica e quindi le strategie terapeutiche devono mirare ad abbassarlo il più possibile, secondo il concetto “meno è meglio”. I nuovi target individuati testimoniano quanto il controllo tempestivo del colesterolo cattivo, diventi un aspetto imprescindibile nella presa in carico dei pazienti.

  1. Quando servono gli anticorpi monoclonali

Se i malati non arrivano all’obiettivo proposto, può essere una soluzione utile il trattamento con gli inibitori PCSK9 come evolocumab che riduce in modo significativo il rischio di eventi cerebro-cardiovascolari nei pazienti con una storia di infarto, ictus o arteriopatia periferica.

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Lo studio FOURIER

Anche i risultati dello studio FOURIER hanno evidenziato come l’aggiunta di evolocumab alla terapia con statine porti a una riduzione dei livelli di LDL di circa il 60 per cento, riducendo, quindi, il rischio di nuovi eventi come infarto, ictus e rivascolarizzazione coronarica.  “Gli inibitori PCSK9 come evolocumab hanno dimostrato da tempo la loro efficacia nei pazienti in prevenzione secondaria”, precisa Francesco Prati, Primario di Cardiologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata, Roma e Presidente del Centro per la Lotta contro l’Infarto.

Lo studio EVOPACS

Una conferma ulteriore, sull’opportunità di inserire le nuove terapie nei protocolli terapeutici, arriva dal recente studio indipendente EVOPACS, presentato in questi giorni all’ESC. Lo studio mirava ad indagare l’efficacia di evolocumab nei pazienti con sindrome coronarica acuta, quindi nella fase acuta dell’infarto miocardico. Dai risultati emerge che l’impiego del farmaco entro le 96 ore dall’evento è in grado di ridurre del 77.1 per cento i livelli di C-LDL dopo 4 e 8 settimane di trattamento, inoltre nel 90 per cento dei pazienti è stato raggiunto il nuovo target di C-LDL di 55mg/dl. Gli inibitori PCSK9 come evolocumab nell’evento acuto hanno il compito di stabilizzare la placca aterosclerotica, modificandone la composizione, affinchè, nella fase successiva all’infarto, non ci siano ulteriori complicanze.

Questo processo deve avvenire il prima possibile per ottenere il maggior vantaggio per il paziente. Un approccio aggressivo e precoce nella riduzione di C-LDL va accompagnato ad un percorso di presa in carico del paziente strutturato nelle fasi successivi all’infarto, in modo da ottimizzare il beneficio terapeutico”.

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